Quando vi trovate di fronte a una guida naturalistica, di solito avete davanti qualcuno che ama a tal punto ciò che fa da averlo scelto, spesso, contro ogni buonsenso.
Sei un lavoratore precario e di sicuro non ti arricchisci, soprattutto al Sud.
Solo una minima parte del tuo lavoro viene riconosciuta e retribuita: in pochi sanno che un’escursione inizia mesi prima e comprende lo studio dei luoghi e di tutti i loro aspetti (da quelli naturalistici a quelli storico-culturali), la manutenzione dei sentieri, i sopralluoghi, la ricerca di percorsi e attività alternative, gli accordi con gli operatori economici i cui servizi vengono testati personalmente, decine di telefonate, email e messaggi per rispondere a ogni dubbio o necessità e organizzare tutto al meglio. Nonostante l’enorme impulso dato al turismo e alla tutela del territorio, molte Regioni nemmeno ti riconoscono ufficialmente e bisogna continuamente lottare per avere la giusta considerazione.
Una guida non sta facendo una piacevole passeggiata con voi: è sempre concentrata sulla composizione del gruppo e le sue dinamiche, sul passo di ogni escursionista e sui suoi interessi e bisogni, sui segnali di stanchezza e disagio; ha sempre un occhio rivolto alle minime variazioni meteo e si inventa mille modi per tenere vivo l’interesse. E il suo sorriso. Il tutto portando nel suo zaino la giacca in più per chi ha freddo, il kit di primo soccorso per chi si fa male, lo scaldacollo per chi l’ha dimenticato, il binocolo per chi vuole vedere meglio quell’albero lontano…
Buona parte del suo lavoro, se fatto bene, non si percepisce nemmeno.
Mettiamoci l’aggiornamento professionale continuo, come molte altre categorie. E se scegli la partita IVA, te ne assumi i rischi e le spese.
Molti – come biasimarli? – mantengono il lavoro “sicuro” e fanno le guide occasionalmente.
C’è invece chi sceglie di farne IL proprio lavoro. E infine c’è chi quando lavora è in escursione e quando non lavora pure. Si chiama passione, e molto spesso non coincide col buonsenso. E torniamo all’inizio. Alla foto, al mio ufficio. E tutto prende un senso.